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:: esperimento/combattimento ::

(pubblicato il 29/12/2008)

 

Sono sempre più convinto che anziché bruciarsi il cervello per cercare come applicare questo o quel passaggio di kata, rimanendo così, solo nella sfera formale ed accademica dello studio del karate, sia invece necessario portare questa parte comunque importantissima soprattutto per i principianti, ad uno step successivo e così via. Poi quando serve, riprenderla, fare una messa a punto attraverso il lavoro formale, e poi, via di nuovo, liberi di sperimentare, sganciati dalle regole tecniche..e poi ancora.
Occorre assolutamente distinguere il combattimento, dagli esercizi che sono propedeutici ad esso; sembra cosa ovvia e banale, ma vi assicuro che così non è! C’è secondo me, poca chiarezza in merito, lo stesso sparring a contatto è ad esempio un’esercizio; utilissimo perché sviluppa molte qualità e sgretola tante fantasie.... ma pur sempre un’esercizio, un’aggressione ad esempio in strada , è molto diversa per il tempo in cui si consuma, per l’assenza di regole, per il fattore psicologico.
Occorre una metodologia di insegnamento, che prenda in considerazione esercizi che maturino le qualità necessarie; esercizi di gestione dello spazio, esercizi di sensibilità, esercizi di condizionamento, capacità di ingannare oppure di reagire da posizioni di guardia celate in gesti remissivi. Questa metodologia deve essere supportata dall’assenza di pigrizia, da una giusta fame di imparare.
Il senso di stress e di inadeguatezza rappresentano la palestra ideale, per imparare ad adeguarsi; molti di coloro che hanno assistito alle mie lezioni, dicono che il mio non è più karate, e io, senza preoccupazione alcuna, non capisco.
I miei allievi, ricorderanno senz’altro l’esercizio degli assalti; ebbene ho assistito a qualche cosa del genere nel contesto di un seminario di una disciplina di combattimento russa; e quello che ne è risultato è sintetizzato in queste riflessioni.
I partecipanti erano tutti con esperienze nell’ambito marziale; al centro del quadrato di materassine, un marcantonio fasciato nel redman (per chi non conoscesse questa attrezzatura, si tratta di una protezione completa che pur lasciando una sufficiente libertà di movimento, protegge ogni più piccola parte del corpo e che è costruita per reggere armi contundenti).
Le istruzioni erano quelle di entrare uno per volta, e non attaccare per primi; il cattivo corazzato si doveva muovere con atteggiamento ostile, insultando per poi attaccare quando lo riteneva opportuno; solo a quel punto si doveva reagire con massima determinazione e in qualsiasi modo.( In realtà vista la protezione indossata dall’aggressore, non si poteva cercare di colpire la gola o un punto che avrebbe aumentato le changes, ma in quanti lo avremmo pensato, se il metodo in palestra non lo prevede??.)
Chi ha provato prima a parare non è mai riuscito a portare il contrattacco a segno, per tutti il disagio ha portato ad eccessiva contrazione muscolare, per moltissimi le reazioni sono risultate scoordinate non in grado di fermare l’enfasi (direi furia) dell’attacco.
Un’esperienza interessante che ha voluto dimostrare che occorre avere un programma di studio rivolto a 360°, che occorre preparazione psicologica e capacità di liberare al momento giusto tutta la propria aggressività; che le regole ci uccidono.
Anche questo, un’esercizio che ha regalato nuove esperienze, nuove riflessioni, che ha messo a nudo blocchi ed inibizioni, un esercizio che permette di aggiungere informazioni valide ad un sistema che tende sempre al miglioramento. Imparare a combattere significa diventare sempre più efficaci; e l’efficacia, secondo un famoso ricercatore di arti marziali, è la capacità di affrontare qualsiasi avversità (non solo fisica) in modo congruo e spontaneo.

 

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