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:: Sincerità ::

(pubblicato il 11/05/2017)

 

Nei miei primi 40 anni di pratica, la cosa che mi ha lasciato sempre perplesso, è il rapporto che le persone hanno con la tecnica per eccellenza : il pugno.
È davvero un approccio bizzarro, poiché da una parte si tende a credere che non occorra neppure studiare la dinamica del pugno, perchè è talmente naturale, che uno studio approfondito non avrebbe senso.
Si fa lavoro al sacco, ai colpitori, si allena la velocità, il tempo, ma non si verifica quasi mai sul partner per evitare di ferirlo. Ma siamo davvero certi di avere il potenziale di trasferire impatto su qualche cosa che ti dia un feedback, e non su un colpitore? Non varrebbe la pena di provare?

Circa 15 anni fa partecipai ad un progetto dell’Università di Scienze Motorie di Firenze, che si prefiggeva di analizzare l’impatto dei colpi. Un gruppo di praticanti di diverse discipline , diverse esperienze, differenti livelli tecnici, si alternavano ad un colpitore elettronico, davanti a due telecamere , coperti di sensori e con accelerometro al braccio. Allora , in me caddero molti miti, e iniziò un approccio assai diverso e concreto.
La convinzione non verificata, di tirare un pugno e mettere a terra l’avversario, è una convinzione assai pericolosa. Chiunque pratichi sport da combattimento dove si cerchi il K.O. capirà che la mia non è una critica fine a se stessa.

Sono convinto che lo studio di questa meravigliosa tecnica, sia il condensato, il nocciolo, il cuore dello studio ampio di una qualsiasi disciplina di combattimento; sono convinto che per essere credibili occorra passarci attraverso ed innamorarsene.
Per imparare a colpire, bisogna essere colpiti, ricevere un colpo da una persona esperta, che ti regala un’esperienza sincera, ma è capace di proteggerti, modifica il panorama di studio, lo rende essenziale e consapevole, educa il sistema nervoso e scoglie blocchi emotivi.

Il corpo impara a dissipare e impariamo a conoscere limiti e paure per passare oltre.
Questa dovrebbe, a parer mio essere la difesa personale; come possiamo imparare a difenderci da qualcosa che non conosciamo? Come possiamo pensare di parare, manipolare, mettere in leva, qualcosa come un pugno durante un’aggressione? Se ci troviamo in quella situazione, abbiamo commesso già molti errori, a quel punto speriamo di avere qualità che ci permettano di limitare i danni, un corpo a abituato ad essere colpito, un sistema nervoso che conosca e gestisca stress, paura e dolore.

Quando pensiamo al pugno, pensiamo ad una azione formale, che segue linee regolari, inserita in un gesto tecnico; non è così, non in strada.
Lo studio del pugno è qualcosa di affascinante che va addirittura oltre il gesto efficace.

Colpire senza capirne il senso, senza sapere quale sia l’obiettivo dell’azione, trasforma la tecnica d’impatto in un’azione spesso scollegata dal lavoro principale; diventa difficile scegliere la direzione del colpo, spesso addirittura il bersaglio o almeno il suo angolo di impatto; per non parlare del tempo e della distanza adeguati.

Per una migliore comprensione del significato del lavoro sui colpi, alcune indicazioni generali potrebbero essere utili; so perfettamente che tali indicazioni lasceranno perplessi, sembreranno condite di zuccherato buonismo, in antitesi con l’idea stessa del combattente invincibile e spietato.
Io stesso ho avuto questa sensazione , ma allora perché attraverso questo atteggiamento l’impatto cresce a dismisura, probabilmente tale atteggiamento cancella intenzione e conseguenti tensioni , lasciando fluire azioni pulite da blocchi fisici ed emotivi;proviamo ad elencarle, sono indicazioni di grandi Maestri:

Un colpo non deve essere portato per rompere o ferire una persona.
Dovrebbe essere dato come si da una medicina, con l’intento di eliminare aggressività e tensioni superflue sull’altro.
Devo realizzare una sorta di interazione con la persona che colpisco, intendo dire che devo sapere esattamente ciò che voglio realizzare sulla sua struttura.
ogni movimento deve avere un obiettivo specifico.
Ogni azione deve essere completa.
Ogni bersaglio che vado a colpire, ha un suo colpo, diverso per angolo del gomito, per pesantezza.
Un colpo deve colpire le paure della persona, ed ogni persona ha le proprie paure.
Un colpo non deve provocare rabbia; è difficile fermare una persona arrabbiata.
Un colpo deve spegnere, calmare, distogliere e far cambiare l’intento.
Attraverso i colpi, il mio obiettivo non è trasformarmi in un Terminator bensì gestire il corpo e la psiche di una persona.

È un lavoro meraviglioso, infinito, per farlo non c’è altro modo che fare in prima persona, sperimentare, ascoltarsi, capire cosa è utile e soprattutto cosa è di ostacolo, è un viaggio dentro noi stessi.

 

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