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:: i miei Maestri ::

(pubblicato il 27/11/2016)

 

Fra poco arriverò al traguardo dei 40 anni di pratica; ho cercato avidamente informazioni, ho seguito e seguo tutt’oggi, i Maestri più importanti, ma tutto ciò che ho imparato davvero, me lo hanno insegnato i miei allievi.
Nel mio ruolo di insegnante, in questi ultimi anni, ho smesso di trasmettere ciò che conosco, mi sto sforzando di mostrare la natura della materia, un lavoro che vada oltre lo specifico di quello che pratichiamo.
Quindi ho smesso di imporre quelle certezze, quelle regole fisse, con le quali l’allievo viene annodato e costretto.
Non mi pongo come persona infallibile, non potrei farlo dal momento che sperimento insieme ai miei compagni di viaggio; l’ho fatto in passato e non è mai stato utile alla mia evoluzione.
So di non sapere tutto, so di sbagliare, cerco di essere instancabile, sempre alla ricerca, forse a volte, anche capace di trovare qualcosa.
Ho spesso rischiato di dare istruzioni, che una volta applicate si sono rilevate incomplete e che è stato necessario correggere.
Ho grandi amici, che nonostante tutte le difficoltà ed i cambiamenti, ancora oggi mi seguono, ed altrettanti grandi amici, che con mio dispiacere hanno preso altre strade, a causa dei miei errori.
Perché mi sento di affermare che i miei allievi sono i miei più grandi insegnanti?
Perché quando vedo i loro errori, frutto di mie inadeguate istruzioni, sono costretto ad imparare a come trasformarle in corrette informazioni, a revisionarle, a riformularle.
Voglio pensare, che questo approccio sia utile per me e per loro; se come facevo un tempo, mi limitassi ad insegnare quello che conosco, i miei allievi saprebbero solo quello e niente altro, ed io non potrei imparare da loro.
In questo modo, forse sapranno ancora meno, ma conosceranno la cosa più interessante: la ricerca stessa.
La nostra società ricerca molte cose, ma si ferma sempre alla comodità, con tutte le sue implicazioni.
Coloro che amano tanto la sicurezza, la comodità, non si sforzeranno mai a cercare in direzioni dove non esiste certezza di trovare sicuramente qualcosa.
In questo modo la comodità diventa sinonimo di superficialità.
Io credo che solo il movimento, l’attività, siano produttivi.
Ed allora perché non partire direttamente con il movimento? La comodità evita il movimento e quindi non si interessa della ricerca.
L’insegnante che non è in movimento, che non si esercita perché dice solo quello che sa, non esercita neppure l’allievo.
L’inquietudine dell’insegnante deve essere contagiosa, deve scuotere e non rassicurare.
E quando lo scossone sarà passato, tutto avrà presumibilmente trovato il proprio posto, mi piace pensare che il movimento partito dall’insegnante, torni nuovamente a lui arricchito e fresco.
In questo senso dai miei allievi, imparo ogni giorno, e per questo li ringrazio.

 

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