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(pubblicato il 06/02/2013)

 

Questa sera osservavo i miei allievi del corso ragazzi/e.
Ragazze e ragazzi che praticano con me, con Henry da diverso tempo; la maggior parte di essi sono con noi da quando avevano 5 , 7 anni ed oggi sono diciassettenni, diciottenni, qualcuno un po’ più giovane.

Che bello guardarli, sono meravigliosi, con potenzialità notevoli e una duttilità sorprendente, non hanno limiti, possono davvero sperimentare ciò che vogliono, sono liberi, sono i figli di una mia idea, sono i pionieri del mio progetto, il primo prodotto semi finito che comincio a toccare con mano.

Non si sono identificati in un metodo, non si sono adattati ad una regola fissa, hanno praticato con gioia tutto quello che in questi anni ho proposto loro.
Chi conosce il mio lavoro, sa che ho davvero proposto le visioni più disparate della disciplina, a volte addirittura in antitesi fra loro.

Questi ragazzi, sono scivolati fra tutte queste proposte, facendo tutto ciò che andava fatto per esplorare a 360°, senza drammi, senza attaccamenti, semplicemente facendo, divertendosi.

Il risultato parziale, è quello che sono diventati oggi: padroni del proprio corpo, perché abituati ad usarlo nelle maniere più diverse; adattabili alle sempre diverse situazioni che creiamo per loro; liberi da regole rigide volutamente ingessate, ma corretti e leali, abbiamo smesso di recitare il dojo kun tanto tempo fa, perché è solo la pratica sincera in palestra e nella vita che crea praticanti e persone sincere.

Non ho mai mantenuto un distacco con loro, come sempre si fa, per enfatizzare il ruolo del maestro, ho sempre avuto il bisogno di stare a stretto contatto con essi, a livello emotivo e comunicativo. Non ho dovuto creare una gerarchia forzata, sento la stima spontanea che hanno per me, perché è la stessa stima che nutro io, nei loro confronti.

Hanno fatto meno resistenze rispetto ai miei allievi adulti, hanno avuto meno domande, ma questo è normale, i giovani hanno meno strutture mentali ad ostacolarli, e quando le hanno, in realtà appartengono alle paure dei genitori, più che a loro stessi.
Hanno avuto il coraggio di sperimentare divertendosi per poi abbandonare l’esperimento, smontarlo e rimontarlo nelle maniere più differenti.

Mi hanno fatto capire la differenza fra il termine vincitore e vincente.
Sono diventati coraggiosi.

Più è grande questo tipo di coraggio e più ricca diventa la nostra vita.
È la paura del cambiamento che rende la vita noiosa, il cercare troppo le sicurezze per proteggerci, ci rinchiude in una stanza troppo stretta, che preclude ogni avventura.

Certo, che privilegiare lo sconosciuto nei confronti dell’abituale, ha le sue indubbie difficoltà, ma sono proprio gli intoppi che ci aiutano a chiarirci con noi stessi, e quando la visione si fa più chiara, si diventa più consapevoli e più indipendenti, più preparati al confronto e alla sintonia con la vita.


 

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