:: attitudine e abilità ::
(pubblicato il 29/04/2012)
Sono profondamente convinto che se uno costruisce l'adeguata attitudine, l’abilita' verrà fuori.
E' finto e pericoloso lavorare solo sull'incremento delle abilità, il rischio e' quello di costruire tecnica vuota ed improduttiva, inutile nel contesto reale.
Ma se c'è l'attitudine allora l'abilità esce in modo naturale, senza forzature.
E' importante, anche aggiungere l’abilità di sapere il perché stai facendo quello che stai facendo, a che ti serve.
Bisogna capire i principi sottintesi. La vera abilità è nel capire sé stessi. A quel punto, tutto diventerà chiaro.
Molto importante dare la giusta importanza alla respirazione, e' l'unico mezzo che abbiamo per controllare i processi interni del nostro corpo, l'unico modo per controllare il nostro subconscio, il nostro sistema nervoso, se manca il controllo di queste cose, non si può lavorare bene, e quando parlo di lavorare bene, intendo essere in grado di essere operativi ed efficaci in stato di stress.
Come tutti sanno, sono un sostenitore del contatto non può esserci addestramento sincero senza contatto, magari leggero ma sempre incrementale, il contatto mostra la paura nella risposta al dolore, in particolare attraverso l"uso di posizioni e riflessi condizionati , rivelando agli allievi le risposte individuali di paura e dolore per gestirle in modo efficace e sicuro.
Credo sia troppo riduttivo lavorare per ottenere la vittoria in competizione o acquisire un certo livello di tecnica o abilità, le cosiddette arti marziali sono diventate esclusivamente arti da esibizione.
Quando qualcuno mi chiede :cosa pratichi? e io rispondo arti marziali o nello specifico, karate, mi si risponde con un cenno gentile che sotto intende uno scarso valore dato alla mia disciplina, solo quando dimostro come pratico allora il tutto viene rivalutato; quando propongo alle varie istituzioni , progetti per corsi di addestramento o semplicemente di difesa personale, più di una volta il mio interlocutore si e' assicurato che il mio metodo non fosse di provenienza giapponese.
Come e' possibile non porsi domande?
Come e' possibile blindarsi in una sola talvolta ridotta realtà ?
Perché non sperimentare?
Perché quando ci si sente maestri non si studia più ? Perché non esiste una sola organizzazione che promuova lo studio e la ricerca?
Credo ci sia un unica risposta: nessuno vuole lavorare su sè stesso, a nessuno piace; mette la gente faccia a faccia con il proprio orgoglio, la propria pigrizia.
Uno degli ostacoli maggiori secondo me, e' rappresentato dai gradi.
Spesso l'altisonante "dan" diventa un baluardo da difendere anche se, talvolta indifendibile, e questo ruba risorse alla ricerca, al confronto.
Il panorama nazionale continua a frammentarsi in piccoli gruppi che consentono la creazione di piccoli feudi.
Quando nascerà un organizzazione magari meno ricreativa ma piu' volta alla ricerca, sarà forse l'inizio di un rinascimento delle nostre amate discipline marziali.
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