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:: makoto ::

(pubblicato il 20/06/2010)

 

Non sono detentore della Verità Assoluta e queste riflessioni non vogliono rappresentare una critica verso metodi o insegnanti, nascono invece da domande che ho fatto spessissimo a me stesso, in cui ho coinvolto maestri e praticanti, quando le formulavo ero alla ricerca di aiuto, perché queste domande nascevano da un senso di angoscia, perché un mondo di certezze, dentro di me si sgretolava in modo prepotente.
Nessuno ha mai risposto, tutti si sono sempre trincerati in argomentazioni che si allontanavano dall’argomento invece di prenderlo in considerazione, in effetti si tratta di un’argomento scomodo.
Sarebbe interessante analizzare il fenomeno del mondo marziale dal punto di vista sociologico, soprattutto per quanto riguarda le arti marziali cosiddette tradizionali, detto fenomeno è davvero singolare, ovviamente non voglio generalizzare (... ci mancherebbe...) parlo solo di mie esperienze personali, ma di fatto negli ultimi anni troppo spesso ho incontrato maestri, che evitano l’allenamento, il mettersi in gioco, il confrontarsi, se non nella dialettica, ho trovato metodi complicatissimi fatti di forme e relative applicazioni ancor più complicate, che comunque nessuno applica davvero, se non in condizioni lontanissime dalla realtà, oppure strategie costruite su mappe anatomiche dove si toccano punti vitali spesso irraggiungibili in un contesto reale e che non funzionano su tutti.
Strutture tecniche che iniziano dopo aver parato un pugno, evitato una coltellata, eluso una bastonata, dando per scontato che l’attacco dell’avversario è stato sventato e da qui posso dar vita alla mia combinazione. Ma davvero sono tanto bravo da dare per scontato che l’atto di aggressione subito, non valga neppure la pena di essere preso in considerazione? Davvero sono tanto bravo che evito di farmi davvero attaccare per testare ciò che insegno?
Ebbene non è così scontato; basta indossare un corpetto ed un casco e chiedere ad un amico un po’ vivace che non è mai entrato in palestra di attaccare sinceramente, basta provare a dare in mano un coltello (mi raccomando finto) ad una ragazzina di 15 anni che deve tagliarti a suo piacimento.
Nell’affrontare seriamente un qualsiasi argomento ci vuole equilibrio, pertanto non occorre dover recarsi alla fine di ogni lezione al pronto soccorso, e neppure teorizzare all’infinito.
Ma si può pensare di difendersi da un’avversario senza sapere cosa vuol dire prendere dei colpi?
Si può diventare esperti dell’arte del coltello senza analizzare il taglio? Quando nelle sedi appropriate ho posto queste domande, le risposte sono state sempre astratte, poi ho scoperto che gli studiosi seri studiano eccome questa parte, nel combattimento a mani nude è tutto più semplice, occorre solo un pò di sincerità e cominciare a dare e ricevere i colpi studiati; nelle scuole serie di coltello, c’è il battesimo del taglio ,che non sto a descrivere in questo articolo. Non è una pratica da esaltati o peggio, è un’esplorazione psicologica.
Essere bravi tecnicamente è quasi inutile se a questa non si abbina una adeguata preparazione psicologica, specialmente per quanto riguarda il controllo emotivo della paura e la capacità di liberare al momento giusto tutta la propria aggressività.
Credo che nel mondo cosiddetto marziale ci si sia chiusi, un po’ per comodità, un po’ per paura in una sorta di bolla, dove si costruiscono allievi a misura di insegnante, in modo che l’insegnante non sia costretto a studiare davvero per rimanere tale.
Se insegno tutta la vita forme, oppure tecniche precostituite, continuo a lavorare in una Green Zone, dove non vi è mai un vero confronto, e dove la complessità tecnica mi protegge; ingabbiare attraverso la tecnica mi permette di non confrontarmi mai, mi permette di poter disquisire su argomenti che in realtà non si prestano a discussioni, poiché contengono già lo studio, l’esperimento ed il test finale.
Basta solo chiudere il cerchio.

 

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